Il lungo cammino dell’Evoluzione Mediale
La scrittura è secondo Ong (1986) ciò “che ha trasformato la mente umana più di qualsiasi altra invenzione”[1] e ciò in virtù della sua capacità di modificare profondamente lo statuto del pensiero e delle sue modalità. Se infatti la psicodinamica dell’oralità era caratterizzata dalla memoria e dalla capacità per mezzo di formule ridondanti di tramandare e trasmettere conoscenza e saggezza, la scrittura innesta un cambiamento radicale nelle operazioni di percezione ed interazione con il mondo. Emerge in modo evidente dagli studi di Aleksandr Romanovič Lurija[2] nel suo “Storia sociale dei processi cognitivi”: Lurija, eseguendo un’ampia ricerca su illetterati e su persone a bassa alfabetizzazione nelle aree più remote dell’Uzbekistan, riscontrò una differenza significativa tra processi cognitivi dell’oralità, propri delle persone non alfabetizzate, e processi cognitivi della scrittura, propri delle persone alfabetizzate. L’evidenza portata alla luce da Lurija è notevole: basta una minima conoscenza della scrittura per modificare profondamente lo statuto dei processi mentali e questo sulla base del fatto che la capacità di scrivere permette all’uomo di compiere un’operazione significativa, quella di “astrarsi” dal contesto. L’astrazione è, in termini sociologici, un processo di distinzione interna del sistema che opera contemporaneamente su due livelli: primariamente opera una distinzione tra suono/segno scritto e senso, in quanto il linguaggio deve “funzionare” anche quando l’ambiente non lo convalida – il linguaggio, come codice, non ha referenza diretta con gli oggetti esterni, ma con la differenza tra segni; secondariamente opera una distinzione tra suono e segno scritto, in quanto “la scrittura è tutto ciò che marca una differenza”[3] e lo fa disaccorpando l’atto del comunicare e la comprensione dell’informazione così generata – un testo scritto è fruibile da chiunque, in qualunque momento e non solo, come nel caso di una produzione orale, nel momento in cui è prodotto. Proprio quest’ultima caratteristica rende la scrittura una tecnologia della comunicazione, e non un medium in senso stretto: essa infatti può essere realizzata su supporti diversi e non dipende strettamente da questi ultimi, essendo dotata di “senso” a prescindere sulla base della sua natura di codice condiviso. L’innovazione della scrittura consiste allora nell’esternalizzazione della mediazione: non riguarda più le facoltà fisiche del corpo (come la voce nell’oralità), ma un supporto materiale in cui trasferire pensieri mediante strumenti; proprio la “materialità” del supporto e quindi delle parole stesse ha ripercussioni sulla società umana. Un’altra importante svolta legata alla scrittura è sicuramente l’invenzione della stampa – introdotta convenzionalmente da Johannes Gutenberg nel 1455, ma in realtà ideata in Asia già nel 1041 da Bi Sheng. Il primo effetto della stampa è quello di rendere economico e più semplice un processo già esistente: la portata del fenomeno sarà tale da modificare il modo in cui la società stessa si interfaccia con i suoi contenuti. La stampa, infatti, con la diffusione sociale dei testi e del sapere, non solo permette di delineare figure ad hoc del settore – come l’autore, con tutte le implicazioni che esso si porta dietro quali il concetto di “creatività” o di “originalità ed autenticità” di un’opera[4] – ma anche di definire nuovi tipi di letteratura, resi possibili dalla disponibilità dei testi a disposizione, che finiranno con il diventare inscindibili dalla materia di cui si occupano – tutti i sistemi e le discipline, come la scienza ad esempio, diventano di fatto dipendenti dalla propria produzione scritta.
Concentrandoci sulla storia contemporanea, per Ruggero Eugeni[5] possiamo quindi procedere individuando tre fasi fondamentali nell’evoluzione dei media: la fase di insorgenza (1850 – 1914), la fase di consolidamento (1915 – 1980) e la fase di vaporizzazione (1980 – ad oggi).
La fase di insorgenza (1850 – 1914), che definisce la nascita dei media meccanici, è caratterizzata dall’invenzione dei dispositivi, intesi nella loro duplice natura: di strumenti tecnici da un lato e di situazioni sociali a loro specificatamente dedicate dall’altro. Proprio queste situazioni sociali, con la forte spinta all’industrializzazione di ogni frangente sistemico e culturale tipica della seconda metà dell’Ottocento, diventano di massa e serializzate, basti pensare alla nascita del cinema (attribuita convenzionalmente alla proiezione dei fratelli Lumière del corto “La sortie des usines Lumière” il 28 dicembre 1895) ed alla forma sociale assunta dalle proiezioni collettive dei cortometraggi: l’esperienza cinematografica da un lato tradisce la sua natura “progettata” in quanto esperienza mediale, dall’altro si configura sempre identica a se stessa e ripetibile – contrariamente a quanto invece può succedere ad una performance teatrale, che risulta sempre diversa da se stessa. Abbiamo accennato alla forte industrializzazione della produzione culturale: questo processo investe fortemente anche il mercato della parola scritta con il romanzo[6] e trova particolare rilievo in due tendenze. La prima è la tendenza alla contaminazione dei generi letterari, che tenta di andare oltre la canonizzazione che si era venuta a determinare a seguito dell’invenzione della stampa: è un processo che mitiga le differenze oppositive tra le sue forme codificate – il concetto di “genere letterario” è di fatto un argomento ancora oggi molto dibattuto in quanto un genere dipende sempre dal sistema letterario che lo descrive. La seconda tendenza riguarda invece la nascita dei racconti in serie o racconti seriali, che si dividono in saghe – laddove il racconto ha potenzialità infinite e i personaggi possono alternarsi al suo interno – e in serie – al centro della vicenda vi sono sempre i medesimi personaggi che ripetono, in situazioni apparentemente diverse, lo stesso pattern. La fase di insorgenza possiamo allora dire che è caratterizzata da un modello tradizionale di testo (come il romanzo) contraddistinto dalla discorsività lineare e dalla presenza chiara di un inizio e di una fine.
La fase di consolidamento (1915 – 1980), che definisce la nascita dei media elettrici, è caratterizzata dal forte sviluppo che conosce l’industria culturale e dall’importanza crescente che assumono i suoi criteri distributivi, ovvero i modi mediante i quali i prodotti culturali raggiungono i propri pubblici. La precedente società ottocentesca presentava già delle forme di reti di distribuzione, come le reti ferroviarie o commerciali, ma è l’avvento del dispositivo mediale che la trasforma: il telefono ad esempio riprende il principio di queste reti di distribuzione avvalendosi dei cavi elettrici ed entra nella quotidianità sociale stravolgendone i costumi – Anthony Giddens[7] sottolinea come il mondo moderno con la comunicazione telefonica abbia operato una drastica riduzione dei rapporti spaziali e temporali facendoli diventare “effettivamente insignificanti”, mentre dall’altro lato film e televisione (per la loro stessa natura di “esperienze mediali”) corroborano l’idea che il mondo intero possa essere trattato come comunicazione, abbandonando il “codice accettazione/rifiuto” tipico dell’oralità[8] e adottando una complessità che stravolge il ruolo del soggetto a discapito della sua partecipazione (l’immagine televisiva è troppo complessa affinché possa essere letta alla luce di una sola risposta binaria). Accanto alla rete di distribuzione “a fili” del telefono, trova così spazio anche una forma inedita di media che non si avvale di cablaggio e che trasmette i propri contenuti broadcasting: è il caso della radio e della televisione. Tale nuovo modello definisce anche una nuova forma testuale, il flusso, caratterizzato da uno scorrere ininterrotto di informazioni, suoni ed immagini che occupano idealmente tutte le 24 ore della giornata e che continuano ad essere trasmesse a prescindere dalla partecipazione del pubblico. La logica site specific tipica della fase di insorgenza con il cinema e la logica della rete broadcasting della fase di consolidamento non si annullano a vicenda, ma si integrano e permettono ai dispositivi mediali di localizzarsi capillarmente del tessuto sociale e di invaderne gli spazi, modificando sempre di più il loro statuto.
La fase di vaporizzazione (1980 – ad oggi) infine, che definisce la nascita dei media digitali, è caratterizzata da due fenomeni che hanno portato alla fine dei cosiddetti mass media ed alla de-individuazione dei dispositivi – nella loro accezione, come avevamo spiegato precedentemente, di situazioni sociali specificatamente dedicate ad essi. Il primo fenomeno riguarda la moltiplicazione esponenziale dei canali di erogazione e della rinnovata accessibilità ai media: se da un lato i nuovi dispositivi tendono ad annullare le limitazioni che i mass media precedenti imponevano, annullando (con il videoregistratore ad esempio) la rigidità temporale del palinsesto o riformulandosi in versioni mobile di facile accesso ovunque e divenendo ubiqui (ad esempio con l’Ipod e l’ancor più recente smartphone); dall’altro tendono a riutilizzare in modo inedito precedenti reti di comunicazione opportunamente modificate, è questo il caso di Internet o del protocollo TCP/IP, una serie di codici necessari ad uniformare la trasmissione di pacchetti tra un computer e l’altro attraverso la rete telefonica. Quando nel 1989 Tim-Bernes-Lee ripensa questo sistema di connessioni come World Wide Web alla luce del modello ipertestuale, produce un’ibridazione tra la comunicazione interpersonale, cui la linea telefonica era sempre stata dedicata, e la comunicazione monodirezionale tipica della logica broadcasting – ibrida ovvero inter-personal media e mass media, dando alla luce una nuova forma di media. La seconda serie di fenomeni riguarda invece la digitalizzazione dei materiali che compongono i prodotti culturali (le parole, le immagini, etc) che vengono cioè scomposti in bytes (stringhe di numeri binari, composti da 0 e 1): lo sviluppo di tali tecniche è decisivo in quanto i differenti materiali percettivi sono ora riconducibili tutti a delle stesse unità pertinenti che entrano nel campo dell’informatica. La portata di entrambi i fenomeni è enorme: il computer diventa, grazie al World Wide Web ed alla digitalizzazione dei prodotti culturali, un “metamedia” capace cioè di leggere e collegare tra loro elementi legati a media differenti. Si viene a determinare così, anticipato dalla struttura del web, un nuovo modello che rimpiazza il flusso tipico dei mass media: l’ipertesto multimediale interattivo, reticolare e infinito, in cui ogni copia è identica all’originale in virtù della sua digitalizzazione e in cui viene abbattuta ogni gerarchia tra emittente e ricevente tipica della fase precedente. La logica di distribuzione broadcasting si frammenta così in quattro ulteriori logiche di distribuzione: la logica push (il broadcaster spinge i contenuti verso il fruitore), la logica pull (il fruitore tira a sé determinati contenuti), la logica prosuming (consumatore è anche produttore attivo di contenuti) e la logica social (il fruitore interagisce con altri fruitori). Se nella fase di consolidamento si era trovato un equilibrio tra pervasività sociale e individuabilità dei media, in questa fase c’è un ulteriore spinta alla pervasività sociale che comporta la già anticipata de-individuazione dei dispositivi: non vi è più una chiara distinzione tra i diversi media, alcuni dispositivi tradizionali vengono rilocati e i dispositivi mediali che riescono a farlo si integrano con apparati sociali non mediali, fondendosi con essi.
NOTE
[1] W.J. Ong, Oralità e scrittura. Le tecnologie della parola (1986), Il Mulino
[2] A. R. Lurija, Storia sociale dei processi cognitivi (1976), Firenze, Giunti-Barbera
[3] J. Derrida, L’écriture et la différence, 1967; trad. it. di G. Pozzi, La scrittura e la differenza, Einaudi, Torino 1971
[4] Tutti temi affrontati da W. Benjamin, L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica (1936), Einaudi, 2000, pp. 22
[5] R. Eugeni, La condizione postmediale (2015), Editrice La Scuola
[6] Il romanzo è a tutti gli effetti un dispositivo mediale in quanto è capace di penetrare nell’esperienza quotidiana dei soggetti e di prendere possesso di alcune porzioni di tale esperienza.
[7] Anthony Giddens, Le conseguenze della modernità. Fiducia e rischio, sicurezza e pericolo (1994), Il Mulino
[8] W.J. Ong, Oralità e scrittura. Le tecnologie della parola (1986), Il Mulino