Il paradosso di Zenone
Si guardarono.
<C’è voluto molto?> chiese l’uomo.
<Un po’> ella disse.
Si guardarono di nuovo.
Gli occhi verdi di lei balenarono nel vuoto un istante prima di posarsi sulla strada deserta.
<Hai aspettato tanto?>
<Un po’> rispose l’uomo.
Lui accennò di voler allungare la mano per darle una carezza, ma non lo fece. La mano strinse l’aria e ritornò veloce al fianco.
C’era qualcosa che ella odiava in quei gesti accennati, mai portati a compimento: una volontà che non può svelarsi perché altrimenti perde ogni significato, forse; una congettura, un semplice desiderio che non ha motivo d’essere; una segreta vergogna?
Abbassò il capo turbata da quel pensiero, come preda di un destino diverso dal suo.
Le tornò in mente il giorno del loro primo incontro.
Le sue dita sfiorarono il libro appoggiato sulla sedia.
“L’Aleph..” neanche il tempo di finire di leggerne il titolo, uno strattone. Un gesto senza appello.
<E’ la mia copia> disse pacatamente una voce che voleva sembrare gentile, ma aveva in sé tutto il tono della minaccia silenziosa.
L’ammissione di colpa e le scuse le sembrarono l’unica via d’uscita possibile.
Null’altro.
L’attesa la costrinse a sorridere: era la prima volta che qualcuno non le venisse incontro nonostante fosse in torto. La bellezza non sempre è un vantaggio; può creare varchi ovunque ma in una maniera che possa riprodursi sempre esattamente identica a se stessa.
E’ la richiesta sottointesa di un canonico copione cui allacciarsi – che finisce per allacciarsi sempre nel medesimo modo, con la medesima battuta. Ma costui l’aveva rotto, infrangendone le regole e ora se ne stava seduto lì, silenzioso e ignaro.
Che avesse dunque l’idea di volere essere qualcosa di diverso?
Che avesse il segreto scopo di irretirla con un gelo indifferente?
Scosse la testa, ma gli occhi le caddero ancora una volta sul volume.
Aveva delle orecchie alle pagine e più di un segnalibro.
La curiosità ebbe la meglio.
<Cosa leggi?>
<Un libro> le labbra di lui sembrarono improvvisamente un taglio in mezzo al volto.
<Di chi?> finse di non cogliere l’ostilità sottointesa a quelle due semplici parole.
“Ha valore solo ciò che riteniamo lo abbia” si disse per farsi coraggio e continuare la conversazione.
Il ragazzo non rispose subito, ma i suoi occhi trovarono rapidamente quelli di lei.
Nocciola, un grande immenso, profondo nocciola.
Occhi dolci, si disse, come è possibile che sia così antipatico?
< Di qualcuno che ama giocare coi paradossi> finalmente l’uomo sorrise.
<Tipo?>
<Immagina due corridori, uno più lento, l’altro dieci volte più veloce.. cosa succederebbe se ti dicessi che quello veloce, concedendo un margine di vantaggio, nel medesimo tempo non riuscirà mai a raggiungere l’altro, ovvero a definire la distanza che li separa uguale a zero?>
<Ti direi che uno arriva sempre primo al traguardo>
<Quello più veloce o quello più lento?>
<Non è ovvio?>
<Sbaglieresti>
Ella si accigliò un istante, un lampo fulmineo attraversò quegli occhi.
Vide la mano che teneva il libro ora alzarsi, pronta a gesticolare.
“Come posso sbagliarmi?” pensò.
<La lingua italiana non mente, se uno è più veloce arriva prima.. come può essere sbagliato?>
<Non fai riferimento al contesto ed è quello che dovrebbe darti la soluzione>
<Cioè che vanno a differente velocità e che uno dei due ha concesso un vantaggio?>
<Secondo Zenone è insolubile, il vantaggio si assottiglierà di certo ma non sarà mai estinto, anche se di pochi centesimi di secondo, di un solo millimetro>
< .. E cosa centra questo con il libro?>
<Il libro mi fa questo effetto: tu corri, ti sembra di coglierne il senso eppure manca sempre quel centimetro, non si fa prendere. Taglia lui il traguardo.>
<Non mi sembra una cosa bella>
<Oh ti sbagli ancora, è proprio questo l’effetto che deve fare un buon libro: aprire un varco e farti venire voglia di riempirlo>
Rimase interdetta a guardarlo. Aveva già pensato poco prima a come la bellezza potesse aprire varchi e a come questi fossero destinati a ripetersi.
Scosse piano la testa, quel ricordo la assalì.
Le sue pupille si infuocarono come allora.
Cosa era successo? Come erano finiti lì, in quell’angolo deserto?
Dov’era finita la bellezza?
Lui non sorrideva più.
La guardava un po’ accigliato.
<Stai bene?> chiese.
<Sì, andiamo> e diede il passo.
Lui scrutò la figura slanciata avviarsi veloce e la seguì.
Non ricordava più quando fosse stata l’ultima volta che lo aveva aspettato, che avesse allungato una mano per camminare insieme.
Gli mancava il calore di quella mano, il peso di quel braccio.
Avrebbe voluto, potuto.. no, lei era già distante, ignara.
Era diventata il primo corridore e lui sapeva che sarebbe stato impossibile raggiungerla.
Anche se di un passo appena.